Nespolo germanico

Nespole e sorbe di David Herbert Lawrence (Eastwood-England, 1885 – Vence-France 1930)

Ti amo, matura,
Deliziosa mollezza.

Amo succhiarti dalla tua pelle
Così marrone e morbida e soave,
Così morbida, come dicono gli italiani.

Che sapore raro, potente e reminiscente
Viene fuori dal tuo ammezzimento attraverso gli stadi della decadenza:
Flusso nel flusso.

Qualcosa che ha lo stesso sapore del vino moscato siracusano
O del volgare marsala.

Anche se persino la parola marsala sa di preziosismo
nell’Occidente dei fighetti.

Che cos’è?
Cos’è, nell’uva che diventa uva passita,
nel nespolo, nella sorba,
Involucri di morbidezza bruna,
Escrementi autunnali;
Cos’è che ci ricorda degli dei bianchi?

Divinità nude come gherigli di noce sbollentati,
insoliti, misteriosamente fragranti di carne.
Come di sudore,
e intrisi di mistero.

Sorbe, nespole con corone morte.
Dico, meravigliose sono le infernali esperienze ,
Orfiche, delicate
Dioniso degli Inferi.

Un bacio, e un vivido spasmo di addio, un attimo di orgasmo di lacerazione,
Poi lungo l’umida strada da soli, fino alla prossima svolta.
E lì, un nuovo partner, una nuova separazione, una nuova separazione in due,
Un nuovo sussulto di ulteriore isolamento,
Una nuova ebbrezza di solitudine, tra foglie decadenti e fredde come il gelo.

Percorrere gli strani vicoli dell’inferno, sempre più intensamente soli,
Le fibre del cuore si separano una dopo l’altra.
E tuttavia l’anima continua, a piedi nudi, sempre più vividamente incarnata
Come una fiamma che diventa sempre più bianca
in un’oscurità sempre più profonda,
Sempre più squisita, distillata nella separazione.

Così, nelle strane forme delle nespole e delle sorbe
L’essenza distillata dell’inferno.
L’odore squisito del congedo. Addio per sempre!
Orfeo e i tortuosi vicoli dell’inferno, intasati di foglie e silenzio.

Ogni anima che parte con il proprio isolamento.
incontra le più originali di tutte le compagne,
e le migliori.

Nespole, sorbe
Più che dolci
Flusso d’autunno
Succhiato dalle vostre vesciche vuote
E gustato, se possibile, con un sorso di marsala
In modo che l’uva passita e caduta dal cielo possa aggiungere la sua musica alla vostra,
Addio orfico, addio, addio.
E l’ego sum di Dioniso
Il sono io della perfetta ebbrezza
L’inebriamento finale della solitudine.

Pierre Auguste Renoir, Il nespolo

Medlars and Sorb-Apples by David Herbert Lawrence (Eastwood-England, 1885 – Vence-France 1930)

I love you, rotten,
Delicious rottenness.

I love to suck you out from your skins
So brown and soft and coming suave,
So morbid, as the Italians say.

What a rare, powerful, reminiscent flavour
Comes out of your falling through the stages of decay:
Stream within stream.

Something of the same flavour as Syracusan muscat wine
Or vulgar Marsala.

Though even the word Marsala will smack of preciosity
Soon in the pussy-foot West.

What is it?
What is it, in the grape turning raisin,
In the medlar, in the sorb-apple,
Wineskins of brown morbidity,
Autumnal excrementa;
What is it that reminds us of white gods?

Gods nude as blanched nut-kernels,
Strangely, half-sinisterly flesh-fragrant
As if with sweat,
And drenched with mystery.

Sorb-apples, medlars with dead crowns.
I say, wonderful are the hellish experiences,
Orphic, delicate
Dionysos of the Underworld.

A kiss, and a vivid spasm of farewell, a moment’s orgasm of rupture,
Then along the damp road alone, till the next turning.
And there, a new partner, a new parting, a new unfusing into twain,
A new gasp of further isolation,
A new intoxication of loneliness, among decaying, frost-cold leaves.

Going down the strange lanes of hell, more and more intensely alone,
The fibres of the heart parting one after the other
And yet the soul continuing, naked-footed, ever more vividly embodied
Like a flame blown whiter and whiter
In a deeper and deeper darkness,
Ever more exquisite, distilled in separation.

So, in the strange retorts of medlars and sorb-apples
The distilled essence of hell.
The exquisite odour of leave-taking. Jamque vale!
Orpheus, and the winding, leaf-clogged, silent lanes of hell.

Each soul departing with its own isolation.
Strangest of all strange companions,
And best.

Medlars, sorb-apples
More than sweet
Flux of autumn
Sucked out of your empty bladders
And sipped down, perhaps, with a sip of Marsala
So that the rambling, sky-dropped grape can add its music to yours,
Orphic farewell, and farewell, and farewell
And the ego sum of Dionysos
The sono io of perfect drunkenness
Intoxication of final loneliness.

Il nespolo germanico del Nostro Giardino, novembre 2021

Da “Il nespolo” di Luigi Pintor (Roma, 1925 – 2003)
Bollati Boringhieri, 2001

Giano ha cento anni e ha deciso di sedersi sotto un nespolo a contare i giorni senza più cedere alle tentazioni mondane. Gli sembra una decisione assennata e adeguata alle circostanze. Non farà nulla e lascerà vagare i suoi pensieri come nuvole oltre il fogliame.
L’estate è una stagione che favorisce questa disposizione d’animo. I castagni e i faggi delle colline sono più ombrosi di un nespolo ma la preferenza di Giano per quest’albero gramo dipende dal fatto che ne aveva uno nel giardino di casa. Tra i suoi rami fioriscono ricordi più gradevoli di tutto il resto.
È strano che il vecchio sia sopravvissuto a se stesso pur essendo un fumatore accanito. Da bambino comprava sigarette pestilenziali dai soldati che le avevano in dotazione e le rivendevano a basso prezzo. Oppure riciclava i mozziconi del padre ripulendo i portacenere. Nei periodi di magra utilizzava foglie secche tritate e semi di papavero.
All’anagrafe non risulta che Giano sia così attempato e anche i suoi conoscenti ne dubitano trovandolo stralunato ma in buona salute. La parola di un gentiluomo vale tuttavia più di un certificato di nascita e va rispettata.

Giano aspetta una cattiva notizia e non riesce a sgombrare la mente da questa attesa neanche all’ombra del nespolo. Non è una felice condizione. Ascoltare musica sarebbe un buon rimedio ma all’aria aperta i suoni si disperdono e in città c’è un tale frastuono che anche la musica diventa un rumore in più. I suoni vorrebbero per sé un silenzio e uno spazio che non si trovano da nessuna parte e che non si possono ritagliare infilandosi una pulce nell’orecchio.

Ti libero la fronte dai ghiaccioli di Eugenio Montale (Genova, 1896 – Milano, 1981)

Ti libero la fronte dai ghiaccioli
che raccogliesti traversando l’alte
nebulose; hai le penne lacerate
dai cicloni, ti desti a soprassalti.

Mezzodì: allunga nel riquadro il nespolo
l’ombra nera, s’ostina in cielo un sole
freddoloso; e l’altre ombre che scantonano
nel vicolo non sanno che sei qui.

Del Nespolo di Pietro de’ Crescenzi, Trattato della agricoltura. Traslato nella favella fiorentina. 1805

(…) Le nespole da serbare si colgono, che non sian mezze, le quali molto negli alberi dureranno, o negli orciuoli impeciati, o in ordine appiccate, o co’ picciuoli mezze mature, e per cinque dì macerate in acqua. (…) Colgansi in dì chiaro e sereno e nel mezzo del dì, e sotterrinsi in paglia spartita l’una dall’altra, sì che non si calcassero insieme.
(…) Le nespole son fredde e secche nel primo grado, e hanno proprietà di confortare lo stomaco e la collerica egestione (…) sono migliori se si prendono innanzi al cibo che dopo, perocchè confortano lo stomaco, e alla sua nervositade non son nocive.

Il Silenzio di Tonino Guerra da “L’albero dell’acqua”

a Carlo Bo

D’autunno le foglie del nespolo
hanno il colore delle pesche sfatte
se le tiene su la nebbia.
E io sto in una cucina
a guardare il latte che bolle
e fuori dalla finestra quelle foglie
e io col gatto a camminare
nelle camere faccio paura ai quadri
che stanno zitti.

Ma che importa mettersi intorno agli occhi
tutta questa roba!
Via via, è ora di muri bianchi
è ora che la luce batta su delle foglie
e sopra una memoria
che si è scordata di tutto:
non è vero che sono stato anche bambino,
non è vero che la neve
imbianca le parole.
Il silenzio è una bomba
che scoppierà dentro il cervello.

Roberto Murolo: So’ le sorbe e le nespole amare

Romeo e Giulietta di William Shakespeare Atto II scena I

MERCUZIO
Se è cieco, non può cogliere la mira.
Starà invece seduto sotto un nespolo
ad augurarsi che la sua ragazza
sia magari quel genere di frutto
che le fanciulle, quando voglion ridere
chiamano appunto nespolo. Oh, Romeo,
se davvero ella fosse… s’ella fosse
una… eccetera… aperta, e tu una pera di Poperin!…
Buona notte, Romeo:
io vado alla mia branda: questo prato
è un letto troppo freddo per dormirci.
Dai, ce ne andiamo?
BENVOLIO
Andiamo, andiamo. Tanto è tutto inutile
andare alla ricerca di qualcuno
che ha deciso di non farsi trovare.

“Poperin pear”: Poperin era una zona delle Fiandre, presso Ypres, dove pare crescesse un tipo di pera assai grossa e oblunga, quasi un cetriolo, che gli inglesi importavano. L’immagine, piuttosto scurrile, è quella della “pera” grossa e puntuta che entra tra i lobi della nespola aperta. E alla nespola erano paragonate ironicamente le zitelle, perché quel frutto, per essere gustato, ha bisogno di stagionatura tra la paglia, and “it is eaten only when decayed”.

Romeo and Juliet by William Shakespeare Act II Scene I

MERCUTIO
If love be blind, love cannot hit the mark.
Now will he sit under a medlar tree
And wish his mistress were that kind of fruit
As maids call medlars when they laugh alone.—
O Romeo, that she were, O, that she were
An open-arse, thou a pop’rin pear.
Romeo, good night. I’ll to my truckle bed;
This field-bed is too cold for me to sleep.—
Come, shall we go?
BENVOLIO
Go, then, for ’tis in vain
To seek him here that means not to be found

nespolo germanico3
Fiori di nespolo germanico, Il Nostro Giardino 2020

da I Malavoglia, di Giovanni Verga

Bisogna arrivare a comprare la barca; la barca poi ci aiuterà a comprare la casa. Il nonno vorrebbe avere un’altra volta quella del nespolo, e anche a me mi piacerebbe, ché saprei dove andare a occhi chiusi, o di notte, senza battere il naso; e c’è il cortile grande per gli attrezzi, e in due salti s’è al mare. Poi, quando le mie sorelle saranno maritate, il nonno verrà a stare con noi, e lo metteremo nella stanza grande del cortile, che c’entra il sole; così, quando non potrà più venire sul mare, povero vecchio, se ne starà accanto all’uscio nel cortile, e nell’estate ci avrà lì vicino il nespolo per fargli ombra.

JC Krauss (1840). Giardino botanico del Missouri, St.Louis

Il nespolo comune (Mespilus germanica) è un albero da frutto, appartenente alla famiglia delle Rosaceae e al genere Mespilus; esso viene anche chiamato nespolo germanico o europeo. Il suo frutto è chiamato “nespola”. Negli ultimi due secoli però, in Europa e altri paesi del mondo è stato gradualmente e commercialmente rimpiazzato dal nespolo giapponese, che appartiene ad una specie diversa, ma i suoi frutti sono ugualmente chiamati “nespole”. I frutti di entrambe le due specie si raccolgono acerbi, in attesa di maturazione fuori dalla pianta, tuttavia la nespola europea è a raccolta autunnale, di forma più tondeggiante e con una buccia di color verdastro-grigio-marrone chiaro, riconoscibile da una grossa apertura al fondo, mentre quella giapponese è primaverile, la bacca appare più oblunga e chiusa, e la buccia di un colore più vivo e giallastro.

Il termine nespolo deriva da nespilum – mespilum, a sua volta derivanti dal greco meso (=mezzo) e dal latino pillum (=palla), a indicare il frutto a forma sferoidale dimezzata. Pare che le origini della specie Mespilus affondino già nei tempi antichi presso le aree geografiche del Mar Caspio, in Asia Minore, quindi nell’Antica Grecia (VIII secolo a.C. circa), per poi diffondersi fino all’Europa Centrale, da cui prese il nome latino di “germanico”).

Il nespolo comune è un albero di medie dimensioni, raggiungendo i 4–5 m in altezza (a differenza del giapponese, che può raggiungere i 10 metri in altezza), e con una larghezza della chioma che spesso supera l’altezza, latifoglio e caducifoglio. È un albero longevo e può diventare anche pluricentenario, ma ha una crescita molto lenta. È pianta molto visitata dalle api. I fiori, ermafroditi, di colore bianco puro, sono semplici, a cinque petali; la fioritura è molto decorativa. Nei soggetti selvatici, i giovani rami possono essere spinosi. Le foglie sono lanceolate. La fioritura, che è piuttosto tardiva (all’incirca nel mese di maggio), avviene dopo l’emissione delle foglie.

I frutti sono dei piccoli pomi tondeggianti, a buccia ruvida e di colore verde-grigio-marrone chiaro, spesso coperti da una finissima peluria; le dimensioni variano da 2 a 3 cm di diametro. Come detto, la raccolta avviene a frutto immaturo verso novembre, ma vengono consumati man mano che maturano, grazie al tepore domestico. Inizialmente, i frutti restano duri e con sapore acido ed astringente, finché una trasformazione della polpa riduce il contenuto di tannino e ne rende possibile il consumo. I frutti, dopo la maturazione, arrivano ad avere una concentrazione di zuccheri di almeno il 20%. I frutti quindi vanno lasciati “ammezzire” in un ambiente asciutto e ventilato, cioè rammollire e virare di colore dal marrone chiaro al marrone scuro. Secondo il proverbio “San Simone la nespola ripone” la raccolta dovrebbe essere fatta il 28 ottobre, festa appunto di San Simone. Ma, per esperienza, è meglio aspettare novembre e lasciare che l’ammezzimento cominci già sulla pianta.

La lunga maturazione a riposo (tradizionalmente nella paglia) anche oltre il periodo natalizio ha ispirato il proverbio “Con il tempo e con la paglia maturano le nespole” (ovvero ci vuole pazienza e occorre aspettare per vedere i risultati). A questo aspetto è anche legato l’antico detto piemontese “stago da pocio” (“sto come una nespola”), ad indicare uno stato di pace, riposo, e tranquillo tepore domestico. Sempre metaforicamente, il termine dialettale piemontese pocio o pocionin indicava la forma del “piccolo pomo” di capelli lunghi delle giovani ragazze che si veniva a formare raccogliendoli dietro e fermandoli con un fermacapelli, e sempre metaforicamente, il soprannome della ragazza stessa.

In Italia, grazie alla sua resistenza al freddo, si è tradizionalmente prestato alle zone del Settentrione, anche se è stato anticamente piantato anche in alcune zone dell’Italia centrale e meridionale, come il caso, ad esempio, la cosiddetta “Casa del Nespolo” di Aci Trezza (Sicilia), citata nei Malavoglia di Giovanni Verga (1881). Nelle regioni dell’Italia settentrionale, il frutto viene chiamato gnespul in friulano, venèspula in lombardo, nespolar in veneto, pomai, pomatai in dialetto della Val di Sole, o neflier, nephie in valdostano. 

Posizione nel Nostro Giardino: in fondo a destra